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L'orafo tornò e offrí del cibo accettabile per un monaco, cioè vegetariano e non proveniente da violenza o sfruttamento.
Dopo aver accettato il cibo, il monaco ringraziò e riprese il suo cammino.
Quando l'orafo tornò al suo lavoro si accorse però che mancavano alcune gemme d'oro.
Cercò dovunque ma non riuscí a trovarle.
L'unica cosa che riusciva a pensare era che le avesse prese il monaco.
Pensò che forse le costose gemme avevano tentato il monaco oppure, addirittura, che non si trattasse di un vero monaco bensí di un malfattore travestito.
Gli corse dietro e lo trascinò a casa.
Gli chiese se avesse preso lui le gemme d'oro ma il monaco, calmissimo, rispose: «No, non le ho prese io».
L'orafo, ormai arrabbiatissimo, insistette con l'interrogatorio: «E allora, chi le ha prese?».
Il monaco pensò che, se avesse raccontato all'orafo la verità, egli avrebbe senz'altro ucciso l'uccellino e che tale violenza non era assolutamente da permettere.
Non disse nulla e mantenne la calma.
L'orafo si convinse che, poiché non rispondeva, il monaco stava nascondendo l'oro.
Si arrabbiò ancora di piú e iniziò a colpirlo. Il monaco rimase ugualmente calmo e quieto.
L'orafo, reso sempre piú furioso dalla calma e dall'immobilità del monaco, decise di dargli una lezione.
Lo fece stare sotto il sole con una striscia di cuoio bagnata legata intorno alla testa.
Il cuoio, seccandosi, iniziò a restringersi e a procurare grande dolore al monaco.
L'orafo era convinto che, prima o poi, non potendo resistere a tanto dolore, il monaco avrebbe confessato.
Non era in grado di comprendere quanto questo monaco fosse compassionevole e altruista, disposto a donare volentieri la propria vita per salvare la vita di un uccellino.
Il monaco soffriva atrocemente ma non esitò mai e manten
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