________________
140
Johannes Bronkhorst
Prima di passare alla questione delle origini della filosofia nell'India antica, vorrei dare un esempio della tradizione indiana di indagine razionale all'opera. Esso mostra concretamente che la mancanza di disponibilità ad accettare una verità tradizionale così com'è data, senza comprensione razionale ossia critica-, ha prodotto due grandi cambiamenti nelle dottrine di due importanti scuole di pensiero. L'esempio concerne la credenza nell'efficacia delle azioni al di là del confine della morte: dopo la rinascita, le buone azioni porteranno buoni risultati al loro autore in una nuova vita, le cattive azioni risultati cattivi. Questa credenza era condivisa dalla maggioranza dei pensatori dell'India classica, ma comportava un problema: esattamente in che modo possono le azioni produrre tali risultati in un futuro distante, forse anche in una parte diversa del mondo, o in un mondo diverso? Quale meccanismo rende possibile ciò?
Una scuola di filosofia brähmanica che si occupava di tali questioni era quella chiamata vaisesika, le cui riflessioni attraversarono tre stadi. Il primo stadio è rappresentato dal più antico testo sopravvissuto di questa scuola, il Vaisesikasutra, che all'apparenza non offre una soluzione al problema: una delle sue sezioni usa l'espressione adṛsta-che significa il non visto', probabilmente nel senso de l'invisibile'- riferendosi ai risultati e ai fini 'invisibili' delle attività rituali ed etiche, così come i termini 'merito' (dharma) e 'demerito' (adharma)," Dobbiamo assumere che questi nomi fossero usati in connessione con un processo che nessuno fino ad allora aveva preteso di comprendere.
Il secondo stadio è rappresentato dalla Kafandi, un commento-ora perduto-al Vaisesikasutra, di cui sono sopravvissuti alcuni frammenti citati da altri autori," dai quali emerge una concezione secondo cui il merito (dharma) e il demerito (adharma), differentemente da quanto aveva sostenuto il Vaisesikasutra, vanno annoverati tra le cose esistenti. Più precisamente, il merito e il demerito sonó considerati qualità dell'anima, che è sostanza, alla quale ineriscono e dalla quale sono in un certo modo inseparabili, come il colore è inseparabile da ciò che è colorato: una stretta connessione che perdura finché non giunge la retribuzione. Poiché l'anima è concepita come una sostanza onnipresente, si può immaginare che i suoi meriti e demeriti esercitino un influsso su cose che non sono nello stesso luogo in cui si trova la persona-o meglio, il corpo della persona-a cui essi appartengono. Se l'anima è immortale e i suoi meriti e demeriti
sto approccio sembrerebbe poco promettente. Lloyd compie la seguente osservazione riguardo la filosofia cinese classica: chiaramente, finché le idee prodotto da un filosofo erano dirette a un sovrano che egli sperava di influenzare e finché il sovrano stesso era l'arbitro finale sul valore di tali idee, quei fattori potrebbero benissimo aver imposto certi vincoli alle idee ritenute degne di essere avanzate, vincoli che si potrebbe pensare abbiano inibito, se non escluso, lo sviluppo di soluzioni radicali oppure teoriche, astratte, non pratiche, ai problemi (Lloyd, Demystifying Mentalities, cit., pp. 125. 126). Per un'analisi comparativa del pensiero antico in Cina e in Grecia in relazione alle differenze nei rispettivi retroterra sociali e politici, cfr. Collins, The Sociology of Philosophiei, cit., pp. 146-147.1 Gli esempi che seguono sono tratti dallo studio di J. Bronkhorst, Karma and teleology: a problem and its solution in Indian philosophy, International Institute for Buddhist Studies, Tokio 2000. Altri sviluppi della dottrina, ispirati da differenti sfide intellettuali, sono discussi in Bronkhorst, Langage et réalité, cit.
"Cfr. W. Halbfass, Tradition and Reflection: Explorations in Indian thought, State University of New York Press, Albany 1991, pp. 31-312. La sezione qui richiamata è Vaisesikasutra, 6,2,1 ss. (dall'edizione di Jambuvijaya, Vaiterika Sutra with the commentary of Candrananda, Oriental Institute, Baroda 1982"). Per i nostri scopi attuali è interessante soprattutto il Brahmastrabhagya di Sankara sul satra, 2,2.12: cfr. J. Bronkhorst, God's Arrival in the Vaisesika system, in Journal of Indian Philosophy, 24 (1996), pp. 281-294, e The Vaitepiha Vakya and Bhagya, in Annals of the Bhandarkar Oriental Research Institute», 72-73 (1991/1992), pp. 145-169.
Perché esiste la filosofia in India?
141
le restano uniti fino alla retribuzione, si spiega come gli effetti delle azioni possano aver luogo molto tempo dopo le azioni stesse; allo stesso modo le azioni degli esseri viventi, con l'intermediazione dei loro meriti e demeriti, possono determinare e determinano ogni nuova creazione del mondo, poiché le anime onnipresenti sono in contatto (samyoga) con gli atomi e li mettono in moto con i loro meriti e demeriti al momento della creazione," facendo si che siano le azioni passate a determinare il corpo, gli organi di senso, la quantità di felicità o dolore con cui l'essere futuro sarà connesso, e gli oggetti che incontrerà.30
Potremmo convenire che il meccanismo della retribuzione karmica ha guadagnato un po' di intelligibilità in questo modo, ma ovviamente restano ancora molte lacune. Ciò che urge maggiormente è stabilire come facciano le qualità di merito e di demerito, di per sé non consapevoli, a disporre il mondo materiale in maniera tale che una persona buona ottenga esperienze piacevoli e una persona cattiva esperienze spiacevoli. L'ulteriore sviluppo della scuola mostra che i vaisesika stessi non erano del tutto soddisfatti della soluzione che avevano approntato. In che maniera hanno risolto questa situazione?
Il
Padarthadharmasangraha di Prasastapāda, un'opera vaisesika del VI secolo d.C., introduce, apparentemente per la prima volta nella storia del vaiseṣika, la nozione di un Dio creatore onniscente e onnipotente. Un attento esame dei passi che trattano di questo Dio mostra che il suo compito di gran lunga più importante è guidare il processo della retribuzione karmica: il Dio supremo, o più precisamente il dio un po' minore che egli crea e a cui poi affida una certa epoca del mondo, conosce gli effetti delle azioni degli esseri viventi, e con l'aiuto di tale conoscenza li crea in modo coerente con le loro azioni passate.
Così il problema del meccanismo della retribuzione karmica viene risolto, ma pagando un prezzo: al posto dell'iniziale problema teleologico, ci troviamo davanti ad un Dio creatore, il cui potere di agire intenzionalmente è assunto come dato; in altre parole il problema iniziale si riduce a quello della psicologia di Dio. I vaisesika non erano indifferenti alla questione della dimensione teleologica della psicologia umana e tentavano di risolverla seguendo una linea simile a quella del moderno comportamentismo. È comunque difficile comprendere in che modo la psicologia umana della scuola potesse spiegare il comportamento intenzionale di Dio in accordo con la legge della retribuzione karmica. Ma qualsiasi cosa si possa pensare dell'introduzione di un Dio creatore per spiegare la retribuzione karmica, non sempre si dà un rilievo sufficiente al fatto che questo sviluppo fu ispirato da considerazioni razionali, da un bisogno intellettuale e non-non solo, né tanto meno principalmente- da mutamenti nella religione dell'epoca. In breve, i pensatori della scuola vaisesika hanno tentato di risolvere il rompicapo della spiegazione dell'agire finalizzato nei termini delle cause prossime, e hanno fallito, come era praticamente inevitabile che accadesse, visto che quel rompicapo è ancora oggi una preoccupazione centrale per filosofi e scienziati.
Cfr. J. Bronkhorst, Y. Ramseier, Word Index to the Prusastapisalharya, Motilal Banarsidass, Delhi 1994. p. 10. par. 58: [...] sarvatmagatavṛttilabdhadrapesebbyes tatsanyogeblyaḥ pavana paramayuru karmotpallau [...].
Cfr. Bronkhorst, Ramseier, Word Index to the Pratsipidabhaye, cit., pp. 65-66, par. 318: aué duse rigadesavatah pravartahád dharmat prahystat svalpadharmasalutad brahmendraprajapatipity manuryalok dayanurüpair istasavirendriyavijayasukhadir go bharati/ tatha prakrstad adharmat svalpadharmasahilat pretatiryagonisthänese anistasarirendriyayaduhhhidibhir yogo bhavati/evam pra vrttilakanad dharmad adharmasahitäd devamanusyatiryandresu punak punah sandrabandhobiavati/. I commentatori Sridhara e Vyomasiva spiegano l'espressione adauripa come karupa