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Johannes Bronkhorst
zavano dibattiti, ed è chiaro che questi dibattiti successivi seguirono, almeno in teoria, i canoni della razionalità.
Che dire delle Upanisad? Non contengono della filosofia? Le antiche Upanisad, quali che siano le loro date esatte, certamente precedono il II secolo a.C. e anche l'invasione da parte di Alessandro, pertanto furono composte quando in India mancava qualsiasi presenza greca. Come si può allora sostenere seriamente che la filosofia indiana deve in qualche modo la sua origine all'arrivo dei greci nell'India del nord-ovest?
Qui dobbiamo distinguere due elementi. Come ho detto prima, i contenuti della filosofia indiana classica sono, per quel che posso vedere, completamente indiani. I buddhisti che entrarono in contatto con i greci nell'India del nord-ovest non importarono elementi della filosofia greca: non ne è stato identificato alcuno nel loro pensiero, a dispetto della frequenza con cui la questione deve essere stata sollevata dai primi indologi di formazione classica. Lo stesso vale per le filosofie brämaniche: nacquero e si svilupparono sul suolo indiano, alcune con l'intento di spiegare i contenuti delle Upanisad. Finora non è stata dimostrata l'esistenza di influssi stranieri su alcuna di esse.
Allo stesso tempo, le prove disponibili suggeriscono che nessuna tradizione di indagine razionale (nel senso qui inteso, manifestata dal dibattito critico e dai tentativi di creare visioni coerenti della realtà) è esistita in India prima del periodo che stiamo considerando. La letteratura vedica, incluse le Upanisad, non ha alcuna tendenza a sviluppare sistemi coerenti:" questi testi danno valore alla conoscenza, ovvero a un certo tipo di conoscenza," ma è evidente l'assenza in essi della razionalità. I Brahmana e le Upanisad registrano parecchi famosi dibattiti, che però non si possono in alcun modo definire razionali e, in effetti, costituiscono esempi di scuola dell'esatto opposto: nessuno, in questi dibattiti, è mai convinto dagli argomenti del suo oppositore. Il vincitore di un dibattito, come ha evidenziato Walter Ruben molto tempo fa, nel 1928, non è colui che sa meglio, ma colui che sa di più. L'argomentazione logica è completamente assente, le affermazioni apodittiche sono accettate senza fare resistenza e infatti l'insegnante non ha bisogno di presentare argomenti a supporto del suo insegnamento, perché l'idea stessa che per sbaglio egli insegni qual
le a sopravvivere per un po' di tempo. Sembra in ogni caso più probabile che l'indagine razionale stessa -o meglio l'obbligo di accettare critiche e fare i conti con esse-sia diventata una costrizione sociale a cui il pensiero ha dovuto sottostare, un legame sociale o un 'emblema etnico' caratteristico dello strato/sottogruppo rilevante della società indiana classica.
"Axel Michaels scrive: Si legge ancora, che in qualche modo i testi Brahmana rappresentano un'immagine magica del mondo, ciò nella visuale che si presume filosofica delle Upanisad si sarebbe. perduto, come se né prima né dopo fossero esistite in India, l'una accanto all'altra, un'immagine 'magica' del mondo ed una filosofica (Id., Der Hinduismus: Geschichte und Gegenwart, C.H. Beck, Monaco 1998, p. 47). Come indicato sopra, il tipo di 'filosofia' qui considerato non esiste sempre e in ogni luogo. "Questo non per dire che gli autori vedici non pensavano o non erano interessati alle ragioni. A. Wezler, in un intervento al 'Second International Vedic Workshop' (Modes of reporting opi nions in Vedic prose, Università di Kyoto, ottobre-novembre 1999) ha evidenziato il fatto che i bra mana si occupavano prevalentemente di dare ragione di singoli passi dell'attività rituale. Ha inoltre sottolineato come siano state registrate anche differenze di opinione. Cfr., per alcuni esempi. J. Bronkhrost, Discipliné par le débat: Les conséquences d'un débat perdu en Inde, in stampa.
Il resto di questo paragrafo compare anche, in forma leggermente diversa, in J. Bronkhorst, Indology and Rationality, in Asiatische Studien/Études Asiatiques, in stampa.
"W. Ruben, Über die Debatten in den alten Upanisads, in Zeitschrift der Deutschen Morgenländischen Gesellschaft, 83, pp. 238-255. Cfr. Lloyd, Magic, Reason and Experience, cit., pp. 60-61; Id., The Revolutions of Wisdom, cit., pp. 87-88; Bronkhorst, Discipliné par le débat, cit.
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Perché esiste la filosofia in India?
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cosa che non è corretto sembra non essere venuta in mente ai pensatori delle Upanisad. Ogni pensiero è corretto, ma potrebbe essere insufficiente e potrebbe quindi dover essere subordinato alla conoscenza del vincitore. Fare troppe domande, d'altro canto, può avere risultati disastrosi: a seconda di come l'espressione viene interpretata, a colui che ha posto la domanda potrebbe venir fracassata la testa, oppure potrebbe perdere la testa in un modo fisicamente meno violento. Riguardo al problema del perché un semplice interrogare potrebbe condurre a conseguenze così gravi per i partecipanti che non hanno successo, Michael Witzel ci ricorda che gli esempi vedici riguardano una conoscenza che, comunque vada, è 'segreta': potrebbe essere nota solo a una persona eminente, un insegnante che non sarà pronto a trasmetterla nemmeno se interrogato, oppure a una classe di specialisti del rituale, i quali non metteranno in comune la loro conoscenza esoterica con i gruppi rivali. Tutto ciò ovviamente non conduce alla creazione di sistemi coerenti di pensiero.
Witzel ha anche attirato l'attenzione sulle molte somiglianze esistenti tra i dibattiti delle Upanisad e quelli registrati nei primi testi buddhisti. Ci sono anche differenze, senza dubbio," ma, come accade per i testi tardo-vedici, non viene posto il problema dell'elaborazione di sistemi coerenti di pensiero e ciò suggerisce che questi primi dibattiti buddhisti fossero intesi soprattutto per il consumo interno, e che quindi non fosse sentito il bisogno di rendere la propria posizione immune da critiche. Abbiamo visto che l'elaborazione di sistemi coerenti di pensiero appartiene a una fase successiva dello sviluppo del buddhismo. Mi rendo conto che per il momento alcune questioni delicate restano senza risposta. I critici senza dubbio chiederanno se voglio seriamente mettere il grammatico Panini -la cui grammatica è stata descritta come uno dei più grandi monumenti dell'intelligenza umana in un periodo pre-razionale della storia intellettuale dell'India. Pänini sarebbe vissuto nella seconda metà
Cfr. M. Witzel, The Case of the Shattered Head, in Studien zur Indologie und Iranistik., 13/14 (1987), pp. 363-415: S. Insler, The Shattered Head Split and the Epic Tale of Sakuntale, in -Bulletin d'E tudes Indiennes., 7-8 (1989-1990), pp. 97-139.
Cfr. Witzel, The Case of the Shattered Head, cit., p. 409.
" Cfr. J. Manné, The Digha Nikaya Debates: Debating practices at the time of the Buddha, in -Buddhist Studies Reviews, vol. 9, 2 (1992). pp. 117-136. Nella discussione tra Buddha e il jaina Saccaka (Cu-lasaccahasutta, Majjhima Nikaya n. 35), per fare un esempio, c'è un innegabile confronto di idee, ove il Buddha non esita a indicare una contraddizione nel discorso dell'avversario: Concentrati, Aggivessana. Quando ti sei concentrato, Aggivessana, rispondi. Perché il tuo ultimo discorso non va d'accordo con il primo, né il tuo primo discorso con l'ultimo (V. Trenckner, R. Chalmers (a cura di). Majjhima Nikaya, 3 voll., Pali Text Society, Londra 1888-1899, 1.232: manasikarohi Aggivessana, manasikaritud kho Aggiessana bydkarohi, na kho te sandhiyati purimena va pacchinam pacchimena vā puriman tr. ingl. di I.B. Horner, The Collection of the Middle Length Sayings, vol. I, Pali Text Society, Londra 1954. p. 285). Cfr. anche K.N. Jayatilleke, Early Buddhist Theory of Knowledge, George Allen & Unwin, Londra 1963. pp. 205-276 (The attitude to reason); F. Watanabe, Philosophy and its Development in the Nihayas and Abhidhamma, Motilal Banarsidass, Delhi 1983, pp. 69 ss. (The devolopment of the dialogue form). Altrove i membri di altre correnti religiose sono descritti come «furbi, abili, pratici nella disputa con altri, spaccatori di capelli (ad es. Digha Nikaya, 1.26: santi hi kho pana samanabrāhmaṇa pandiītā vipuṇā kataparappavādā välavedhirap voblindantă manne caranti paññāgntena diṭṭkigatām).
"R.F. Gombrich evidenzia che il Buddha continuava ad argomentare ad hominem e ad adattare ciò che diceva al linguaggio dell'interlocutore e conclude che questo deve aver avuto enormi conseguenze sulla coerenza, o meglio nell'incoerenza, del suo modo di esprimersi (Id., Ho Buddhism Began. The conditioned genesis of the early teachings, Athlone, Londra Atlantic Highlands 1996, p. 18). Che questa conclusione sia corretta o meno, sembra chiaro che il metodo di argomen tazione registrato nei primi testi buddhisti difficilmente potrebbe condurre all'elaborazione di sistemi coerenti di pensiero.