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La via della liberazione
446. In breve, anche il soggiogamento dei sensi viene chiamato «digiuno»; dunque, coloro che hanno vinto i loro sensi vengono definiti «digiunatori» anche quando assumono cibo.
447. La purezza interiore raggiunta dall'individuo che è ben istruito nelle scritture, anche se si nutre regolarmente, sarà molte volte più grande della purezza della persona che non conosce le scritture ma che digiuna per due, tre, quattro o anche cinque giorni.
448. Una persona che si nutre con una piccola quantità di cibo, meno di un morso della sua porzione normale, pratica la penitenza chiamata ūnodarī, cioè il digiuno parziale.
449. Chi accetta l'elemosina dopo aver delimitato la quantità, il donatore, la ciotola che la contiene e il tipo di contenuto adempie alla penitenza chiamata vrttiparisankhyāna, cioè la limitazione delle cose mendicate.
450. Il monaco che evita cibi gustosi, come il latte, le cagliate e il burro, e mette le pietanze su di una foglia, pratica la penitenza rasaparityāga, cioè la rinuncia ai cibi prelibati.
451. La penitenza che consiste nel tenere il giaciglio e il sedile in un luogo solitario e non frequentato da membri dell'altro sesso e da animali, viene chiamata viviktaśayyāsana, cioè abitare in solitudine.
452. Adottare una rigida postura del corpo immobile, come vīrāsana, 41 ecc., che procura all'anima la beatitudine, costituisce la penitenza chiamata kāyakleśa, cioè la mortificazione del corpo.
453. La conoscenza che si acquisisce nel periodo in cui si hanno le comodità svanisce quando si comincia a sperimentare la loro mancanza. Perciò, nel periodo dell'acquisizione della conoscenza, lo yogin dovrebbe eliminare le comodità tenendo conto della propria capacità di sopportazione.
454, 455. Né l'esperienza del dolore, né l'esperienza del piacere servono da sole a curare un disturbo; ma chi conduce la propria
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