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Vandana Shiva, con un significativo prolungamento dell'insegnamento gandhiano, ha mostrato, ad esempio, come i modi in cui le cultura industrializzate hanno impostato le loro relazioni con la terra siano basati su modelli patriarcali di dominio. Tutto questo si riflette, a suo avviso, in sistemi economici che considerano l'ambiente come privo di valore finché non può essere usato commercialmente. A tale visione la Shiva contrappone, con esplicito richiamo alla lezione di Gandhi, una filosofia dei beni ambientali che rifiuta la centralità del mercato e si ispira a un'immagine relazionale della vita umana, che ha, a suo fondamento, i concetti di interdipendenza, equilibrio e complessità biotica. In particolare, la cura femminile per l'ambiente rinvia a una relazione simpatetica di rispetto e di amore, una sorta di dilatazione cosmica dell'antica cultura della domesticità.
'I recupero del principio femminile - scrive la Shiva - è una risposta alle molteplici prevaricazioni e appropriazioni a danno non solo delle donne ma anche della natura e delle culture non occidentali”.
La cura sembra, pertanto, configurarsi come un concetto guida valido per una reimpostazione del rapporto tra etica e politica, attraverso la messa in questione della frattura tra mondo pubblico e mondo privato e della doppia morale che ne consegue.
Se in questo l'insegnamento gandhiano resta fondamentale, altrettanto prezioso può rivelarsi il suo contributo a una storia dell'idea di cura. Chi voglia comprendere pienamente la ricchezza di tale idea, riesaminando i pensatori che hanno cercato di chiarirne aspetti e implicazioni ed entrando in dialogo con essi, potrà trovare in Gandhi un ideale interlocutore.
Luisella Battaglia ORDINARIA DI FILOSOFIA MORALE E DI BIOETICA, FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE DELL'UNIVERSITÀ DI GENOVA
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