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lare, rischia di ignorare la varietà dei rapporti con cui le persone si assumono la responsabilità e la cura di altri né sa dove collocare il sentimento di fraternità o quello di compassione. Di qui l'esigenza di pensare un'immagine più ampia della vita umana che permetta una salda congiunzione tra il regno della morale e quello della politica.
Un'etica della cura, come s'è visto, si differenzia da un'etica dei diritti perché pone l'accento sulla connessione piuttosto che sulla separazione e perché assegna la priorità ai rapporti con gli altri piuttosto che ai diritti dei singoli individui. La vita, intesa come una trama di relazioni a cui tutti apparteniamo e da cui tutti deriviamo, è salvaguardata da attività di cura responsabile ed è basata su un legame di interdipendenza, anziché su un contratto tra eguali. In tal modo, vengono sfidati alcuni assunti tipici del pensiero morale tradizionale: la divisione tra politica e morale, la separazione tra pubblico e privato, la teoria dello spettatore imparziale ovvero del punto di vista morale disinteressato. La cura per l'altro comporta infatti un'immagine relazionale dell'esistenza umana che getti un ponte tra politica e morale o, se si vuole, tra grammatica del bene e grammatica della giustizia.
Alla luce di tali osservazioni, l'interesse della riflessione gandhiana, collocata nell'ambito di un'etica della cura, è di fornire di tale concetto un'interpretazione forte e costruttiva - non come semplice appello ai buoni sentimenti, ma come impegno responsabile per la riduzione della sofferenza di altri esseri, umani e non umani. In questa prospettiva, tale etica è da vedersi come un percorso nuovo, potenzialmente capace di ridescrivere i rapporti del vivere e del convivere. La nonviolenza gandhiana si presenta, infatti, con le caratteristiche di una contestazione permanente. Gandhi, come ha ben mostrato Giuliano Pontara, non solo non teme i conflitti ma li considera importanti e risolutivi nella ricerca della verità, all'interno di una concezione dinamica della giustizia. A chi obiettasse che Gandhi propone una visione troppo idilliaca e non tiene conto della “natura lupesca” dell'uomo, si potrebbe rispondere che egli è molto attento alle questioni della conflittualità interumana e interspecifica e nella sua opera delinea una vera e propria filosofia dei conflitti: tale, appunto, è il satyagraha.
Quella qui proposta è certo una particolare interpretazione della filosofia della nonviolenza di Gandhi, da lui stesso intesa, peraltro, come dottrina in divenire, non irrigidita in una sistemazione definitiva ma suscettibile di sviluppi e di ulteriori arricchimenti. Su questa linea, la scienziata indiana
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