________________
I pescatori, i venditori di pesce e coloro che mangiano pesce probabilmente non sono consapevoli della violenza insita nella loro azione. E anche se lo fossero giudicherebbero tale violenza inevitabile. Ma l'uomo che usa la coercizione è colpevole di una violenza deliberata. La coercizione non è umana".
In numerosi brani si ribadisce che il vegetarianesimo ha un senso solo per chi è convertito alla nonviolenza, altrimenti è un rito vuoto. L'induismo non consiste, infatti, nel mangiare o nel non mangiare certi alimenti: il suo fulcro sta in una condotta corretta, nella giusta osservanza della nonviolenza.
Ma qui sorgono alcuni problemi etico-filosofici di difficile soluzione. Limitiamoci ad alcuni interrogativi essenziali: si può stabilire obiettivamente cosa sia "male" per un essere senziente? Che cosa comporta precisamente fargli del male? Infliggergli delle sofferenze? E come intendere il concetto stesso di sofferenza? Vi sono altri mali che si possono infliggere agli esseri senzienti? Uccidere è sempre un male assoluto o vi sono circostanze in cui l'uccisione appare moralmente giustificata?
Si tratta di questioni di estrema gravità e delicatezza cui Gandhi propone risposte articolate e lontane da ogni assolutismo. Occorre pertanto guardarsi da ogni semplificazione del suo pensiero, nella consapevolezza che l'ahimsa ha un significato assai complesso. Innanzitutto, si tratta non di una norma assoluta, ma di un principio morale prima facie, cioè valido solo allorché, in una gerarchia di norme e valori, non vi siano principi di ordine superiore più vincolanti. La norma gandhiana prescrive la riduzione a lungo termine e, nella maggior misura possibile, della violenza in tutte le sue forme ma non esclude a priori la possibilità di impiegarla in casi estremi. Ciò significa che, in certe situazioni di assoluta emergenza, uccidere può risultare compatibile con la dottrina dell' ahimsa, ove, ad esempio, si tratti di salvaguardare la vita di innocenti in pericolo (classico l'esempio della tigre che minaccia gli abitanti del villaggio). "Nonviolenza - scrive Gandhi - vuol dire un oceano di compassione". Va osservato che è possibile, a suo avviso, far del male a un essere vivente tanto in modo attivo quanto in modo passivo, tanto per commissione quanto per omissione. È contrario all’ahimsa sia il far soffrire che il lasciar soffrire; ne deriva, quindi, che in determinate condizioni in cui l'unico modo per porre fine alle estreme sofferenze di un essere sia il togliergli la vita, si giunge a giustificare la stessa eutanasia come "uccisione pietosa”. E questo uno dei punti fondamentali in cui la posizione gandhiana si differenzia da quella del pacifismo assolutistico - come quello di Tolstoj - che
14
Jain Education International
For Private & Personal Use Only
www.jainelibrary.org